Immobilità e Apparato Muscolo-Scheletrico

(Curato da Guido De Luca – Fisioterapista)

Quest’articolo si pone come obiettivo quello di rendere evidenti gli aspetti dei danni prodotti all’apparato muscolo-scheletrico, durante le lunghe e forzate immobiltà a cui è assoggettato il paziente, sia  in ambito  post-chirurgico  che in ambito post-traumatologico. Se è pur vero che la precoce mobilità può generarre danni tissutali, l’immobilità li genera in guisa diversa e con l’aggravante di associazioni ad altre patologie,  come anche generare la tendenza alla cronicizzazione e alla formazione precoce di processi artrosici.

Il sistema muscolo-scheletrico è comprensivo di ossa, articolazione, muscoli, tendini, legamenti, cartilagine, vasi e nervi, e assume aspetti diversi in risposta agli stimoli proposti nelle varie attività fisiche, le varie modificazioni qualitative e quantitative dipendono quindi dai vari livelli di stress avvenuti durante le attività motorie.

Questa quasi necessaria modificazione continua dell’apparato muscolo-scheletrico, dovrebbe lasciar chiaramente intendere che l’organizzazione globale di tutte le strutture va in estrema difficoltà nel corso di lunghe immobilizzazioni forzate, quelle strutture puramente meccaniche con capacità elestiche e viscose, perderebbero velocemente le loro proprietà compromettendo pericolosamente la funzione. Eppure la scelta di tendenza è  ancora quella di immobilizzare il paziente, a volte purtroppo con relativa superficialità.

Per didattica dividiamo gli effetti dell’inattività e/o immobilità analizzando i vari tessuti coinvolti.

Tessuto osseo

Il tessuto osseo di un atleta che sia stato immobilizzato per un determinato periodo di tempo va incontro ad una demineralizzazione, esponendo il tessuto alla lesione (frattura da stress), infatti l’immobilità stimola il riassorbimento osseo deprimendone la formazione (osteoporosi), quindi la perdita di massa ossea stimata intorno al 30%, è determinata in percentuali da questi due fattori: il riassorbimento e la mancata formazione. Se la struttura  fosse esposta a carichi leggeri associati ad attività muscolare isometrica, si otterrebbe una adeguata stimolazione del tessuto osseo, la gradualità del carico e dell’attività muscolare fornirebbe gli stimoli necessari e coerenti senza rischiare di essere lesivi.

Tessuto muscolare

Già dopo una settimana di immobilità il tessuto muscolare diventa ipotrofico, diminuisce il calibro del ventre e rallenta il flusso ematico con riduzione di scambi metabolici. Molti fattori determinano l’ipotrofia, come ad esempio la durata dell’immobilità, l’età o il sesso, l’attività motoria praticata, non ultima la posizione imposta nell’immobilità, di gran lunga più lesiva di quella fisiologica.

Tutto ciò si traduce in una perdita di forza isometrica del 40%, un periodo di quattro settimane di inattività è sufficiente a generare tale perdita accompagnata ad una vistosa perdita di calibro dell’arto coinvolto nell’infortunio, differenza che diviene molto più evidente nel soggetto che pratica attività sportiva. La riduzione della funzione neuro-muscolare sembra essere una causa importante dell’ipotrofia, deteriorando l’area sinaptica, l’immobilità infine danneggia le proprietà meccaniche muscolo-tendinee in termini di elasticità e plasticità.

La reversibilità di questo stato di cose patologiche è data dall’esercizio, definito “terapeutico” non a caso, questo tenderà all’aumento del calibro delle fibre, delle attività neuronali e neuro-muscolari, della vascolarizzazione, degli scambi chimici recettoriali, e quindi come obiettivo l’ipertrofismo muscolare.

Tessuto tendineo

L’immobilità e l’inattività danneggiano anche i tendini, non con la stessa rapidità dei tessuti muscolari, ma con una perdita di consistenza e di elasticità, e che tende tristemente al tessuto fibrotico dopo lunghe immobilizzazioni. La quantità di fibre collagene presenti in una struttura tendinea si riduce in numero ed in calibro, si degenera anche il tessuto connetivo a corredo. Ma anche qui l’esercizio terapeutico mira attraverso stati di tensione graduali, a frenare la degenerazione tissutale, rendendo migliori le proprietà meccaniche delle fibre stesse nei processi cicatriziali.

Tessuto legamentoso

Durante l’immobilità la capsula articolare e le strutture legamentose a causa della generale perdita del collagene, si ritraggono generando rigidità e poca attitudine al movimento, di frequente associate a dolore acuto. L’attività meccanica dell’esercizio terapeutico riporta in una capsula articolare una adeguata produzione di liquido sinoviale e soprattutto migliora le proprietà strutturali delle strutture legamentose attraverso l’incremento della produzione di collagene.

Tessuto cartilagineo

Forse il tessuto che peggio reagisce agli stati di immobilità  è la catilagine. La mancanza di carico e soprattutto di movimento, tende immediatamente ad alterare la struttura morfologica, si presenta con aspetto soffice e sfaldato, la degenerazione dei condrociti spesso estende il danno all’osso subcondrale, complicando ulteriormente il quadro clinico. La cosa preoccupante è che bastano otto settimane di imobilità per generare danni irreversibili che renderanno precoci i processi artrosici. L’esercizio terapeutico può evitare questa degenerazione se si interviene precocemente, riportando con estrema cautela e gradualità le condizioni di carico articolare ad una corretta ed adeguata funzione.

 

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