Legamento Collaterale Mediale Riabilitazione

Legamento Collaterale Mediale Riabilitazione
Il legamento collaterale mediale (LCM) è costituito da una porzione superficiale ed una profonda,intimamente connessa al menisco, a sua volta distinta in una componente menisco-tibiale ed una menisco-femorale. Durante la pratica sportiva e, in particolare, nei cambi di direzione in corsa, nei contrasti, nelle ricadute da salto in appoggio monopodalico ed in condizioni di precario equilibrio, il ginocchio è sottoposto ad intense sollecitazioni funzionali, che portano molto spesso i legamenti al massimo grado di tensione.

Le sollecitazioni in Valgo Rotazione Esterna in Flessione si verificano caratteristicamente nello sci alpino e, nel calcio, nei contrasti “piede pallone piede” di piatto o interno collo. La prima struttura ad essere posta sotto tensione e, successivamente, lesa è il legamento collaterale interno; più precisamente il fascio superficiale subisce una distensione a livello della sua inserzione tibiale, mentre quello profondo, più importante da un punto di vista meccanico per la stabilità del compartimento interno, viene stirato assieme al legamento posteriore obliquo (POL), all’inserzione femorale.

Se il trauma produca una rottura completa di queste strutture e non esaurisca con essa la sua forza lesiva, il secondo legamento interessato è il legamento crociato anteriore (LCA) o, in casi più rari, il legamento crociato posteriore (LCP). In traumi particolarmente violenti in cui si possa attuare un meccanismo di leva amplificato, o per l’entità della forza (violenta entrata di un avversario sul compartimento esterno del ginocchio) o per l’aumento del braccio di leva (come nel caso di mancato distacco dello sci) è possibile un coinvolgimento globale di tutte le strutture capsulo-legamentose del ginocchio, ivi comprese quelle del compartimento esterno. In questo tipo di sollecitazione la lesione del corpo del menisco è invece piuttosto rara, potendosi piuttosto verificare una disinserzione periferica del menisco a livello delle strutture capsulari interessate.

Diagnosi

Nelle lesioni capsulo-legamentose del ginocchio la diagnosi dovrebbe consentire di individuare la sede e l’entità del danno anatomico riportato dalle varie strutture, di determinare il grado della conseguente lassità articolare e di riconoscere eventuali lesioni associate (meniscali e cartilaginee in particolare), elementi questi indispensabili per un corretto orientamento terapeutico. Come per le altre patologie, la diagnosi si basa su elementi clinici e su indagini strumentali. L’anamnesi costituisce il primo e, spesso, determinante momento del procedimento diagnostico e deve essere per questo estremamente accurata. Di fronte all’atleta traumatizzato bisogna, anzitutto, indagare sugli eventuali precedenti episodi distorsivi annotandone l’entità, il trattamento, la durata dell’inabilità e gli eventuali esiti; questo permetterà spesso di distinguere un trauma iniziale (lesione acuta) da una recidiva (lesione acuta su lassità cronica). Per ogni episodio distorsivo inoltre è estremamente utile riconoscere, sulla base della descrizione dell’atleta o di altri testimoni, il meccanismo traumatico che, come abbiamo detto, risulta molto spesso direttamente correlato alla sede ed al tipo di patologia. L’entità del dolore immediato non è, invece, sempre direttamente correlata alla gravità del danno legamentoso.

Più importante, invece, il grado dell’impotenza funzionale, correlata all’attività sportiva; in molti casi, infatti, il dolore si attenua rapidamente, potendo consentire un tentativo di ripresa immediata dello sport. In alcuni tipi di lesione e, caratteristicamente, nelle lesioni di I-II grado del LCM con stiramento delle fibre a livello dell’inserzione femorale, il dolore si attenua rapidamente (l’atleta continua la partita o a sciare fino al termine della giornata), per poi riacutizzarsi nella notte fino a provocare al mattino un atteggiamento antalgico in flessione, tale da simulare un blocco articolare.

Esame Obiettivo

Nelle lesioni acute, già dopo poche ore dal trauma, il ginocchio si atteggia in semiflessione (atteggiamento antalgico) ed in posizione supina il paziente avverte la necessità di un cuscino che sostenga il ginocchio sotto al cavo popliteo. A livello del compartimento interno i punti dolorosi più frequentemente evidenziabili sono l’inserzione femorale del fascio profondo del legamento collaterale interno, distalmente al tubercolo degli adduttori, e l’inserzione distale del fascio superficiale del LLI, situato profondamente alla zampa d’oca. L’esame obiettivo prosegue quindi con l’esecuzione dei test di lassità capsulo-legamentosa, vero e proprio momento cardine di tutto il procedimento diagnostico. Da una corretta esecuzione e precisa valutazione di questi test dipende, infatti, l’esatto riconoscimento ed il definitivo inquadramento della patologia legamentosa del ginocchio.

Nelle lesioni acute, il ginocchio può essere esaminato senza eccessiva difficoltà nelle fasi immediatamente successive al trauma; è per questo raccomandabile la presenza a bordo campo, soprattutto nelle discipline a rischio per i traumi del ginocchio, di un medico in grado di obiettivare correttamente il ginocchio. Dopo poche ore dal trauma, invece, il dolore, la tumefazione e l’atteggiamento antalgico susseguenti possono rendere estremamente difficoltosa l’esecuzione e la valutazione dei test. In questi casi, qualora esista, sulla base dell’anamnesi, dell’esame obiettivo e delle indagini strumentali, un fondato sospetto clinico di lesione grave, potrà essere programmato un esame obiettivo in anestesia generale da eseguirsi in sala operatoria, da parte dell’équipe chirurgica pronta ad intervenire immediatamente in caso di conferma. In base alla entità del trauma ed alla gravità del danno riportato dai legamenti le distorsioni vengono distinte in tre gradi.

Nelle lesioni di I grado il legamento viene solo allungato oltre la sua normale riserva di elasticità (circa il 5% della lunghezza): tale allungamento non produce effetti macroscopici ma solo minuscole lacerazioni di un numero molto limitato di fibre. Nonostante la dolorabilità, talora anche intensa, dovuta allo stiramento delle terminazioni nervose sensitive, il legamento conserva la sua resistenza meccanica e l’articolazione rimane stabile.

Nelle lesioni di II grado si verifica una rottura di più fibre che interessano vari livelli e strati della compagine legamentosa con evidenti focolai emorragici; la continuità del legamento è conservata ma la sua resistenza meccanica è ridotta. Anche nelle lesioni di II grado l’articolazione rimane stabile. Nella lesione di III grado il legamento è completamente rotto e la continuità delle fibre interrotta a tutto spessore. Vi è quindi una perdita completa della funzione di uno o più legamenti e l’articolazione diviene instabile per la comparsa di una lassità articolare patologica.

Nelle lesione di III grado (“distorsione instabile”) che interessi una grande articolazione, la lassità articolare può essere giudicata lieve, moderata o grave in proporzione all’entità dello spostamento dei capi ossei durante l’esecuzione dei test di lassità: quella lieve indica che le superfici articolari si separano di 5 mm o meno, quella moderata che si separano fra 5 e 10 mm e quella grave che si allontanano più di 10 mm. Naturalmente queste misurazioni non possono essere sempre precise ma costituiscono una scala di riferimento utile agli scopi clinici. Test di valgo stress con ginocchio flesso a 30°: con il paziente supino sul lettino, si flette il ginocchio a 30°, si posiziona una mano sul lato esterno del ginocchio e si impugna il piede o la caviglia con l’altra mano; poi, con delicatezza, si applica al ginocchio una forza in abduzione, utilizzando la mano che dalla caviglia mantiene la gamba lievemente extraruotata. Ripetendo più volte il test ed aumentando gradualmente lo stress sino ad evocare dolore, si riesce a dimostrare il massimo quantitativo di motilità preternaturale (lassità). Questo test con una positività lieve indica una lesione isolata del legamento collaterale mediale; se la lassità evocabile è molto graveè abitualmente associato un danno del LCA.

Diagnostica Strumentale

In tutti i traumi distorsivi del ginocchio è opportuno eseguire un esame radiografico nelle proiezioni antero-posteriore e latero-laterale. In realtà l’esame radiografico molto raramente fornisce indicazioni utili in caso di lesioni capsulo-legamentose di ginocchio. Fanno eccezione le avulsioni tibiali con bratta ossea del LCP, le avulsioni tibiali con bratta ossea del LCA (Fig. 18.12) con frattura dell’eminenza intercondiloidea e le fratture di Segond, segno indiretto di lesione del LCA. Sempre nell’ambito della radiologia convenzionale possono trovare indicazione, più a scopo documentativo che non propriamente diagnostico, le radiografie dinamiche atte ad evidenziare l’eventuale presenza di abnorme apertura in valgismo o varismo e, mediante l’ausilio di idonee apparecchiature, alla quantificazione radiologica dei cassetti anteriore e posteriore e del Lachman.

Un notevole contributo all’imaging del ginocchio è stato fornito dalle moderne tecniche della TC (tomografia computerizzata) e dalla RMN (risonanza magnetica nucleare). La qualità elevata delle immagini acquisibili con le apparecchiature delle ultime generazioni, fornisce una buona definizione delle strutture intrarticolari, consentendo il riconoscimento delle lesioni con una buona attendibilità. Tuttavia, per quanto riguarda in special modo le lesioni legamentose, le metodiche di imaging trovano indicazione assoluta solo nei rari casi di rilevante dubbio diagnostico, mentre, nella maggioranza dei casi, appaiono più utili allo studio delle lesioni associate al danno legamentoso. La diagnosi di lesione legamentosa e, soprattutto, il riconoscimento del grado di lassità, elemento fondamentale per le successive decisioni terapeutiche, sono prevalentemente legate all’esperienza dell’esaminatore nella valutazione della positività o meno dei test clinici.

Trattamento

Nelle lesioni di primo grado, il trattamento è incruento. I provvedimenti terapeutici, rivolti soprattutto alla riduzione del dolore ed alla prevenzione della ipotonotrofia del quadricipite, consistono nell’applicazione immediata di un bendaggio compressivo, di ghiaccio e di impacchi con sostanze antinfiammatorie. Dopo pochi giorni di riposo, nei quali è indispensabile compiere esercizi isometrici del quadricipite per mantenere valido il trofismo muscolare, potrà essere consentita la ripresa dell’attività ginnico atletica, eventualmente con l’uso di ginocchiere protettive o taping del ginocchio. La prognosi è decisamente buona ed i tempi di recupero possono essere genericamente indicati tra cinque e dieci giorni.

Le lesioni di secondo grado che, al pari di quelle di primo grado, non compromettono la stabilità articolare, vengono anch’esse trattate in modo incruento. Si distinguono da quelle di primo grado per il dolore, la dolorabilità locale e per il grado di impotenza funzionale. In alcuni casi, allo scopo di eliminare il dolore, può essere talora necessario immobilizzare, parzialmente o totalmente, l’articolazione per alcuni giorni, con fasciatura elastica, doccia gessata o, meglio, con tutore articolato che consenta un progressivo ripristino della mobilità con gradi crescenti di escursione articolare. Sempre a scopo antalgico possono essere precocemente impiegati mezzi fisici come ionoforesi o fonoforesi, con sostanze antinfiammatorie. Parallelamente, o contemporaneamente, alla riduzione del dolore, viene incrementata la mobilità attiva e contro graduale resistenza del ginocchio, fino al completo ripristino della funzionalità. Va ricordato che le distrazioni del collaterale interno all’inserzione femorale possono risultare estremamente dolorose, anche per diverse settimane. L’atteggiamento antalgico assunto dai pazienti in semiflessione e la dolorabilità sul compartimento interno simulano, talora, un blocco meniscale meccanico e inducono, a volte, addirittura ad eseguire una artroscopia che risulterà ovviamente negativa. La prognosi a medio e lungo termine, tuttavia, è sempre buona anche se a distanza può rendersi evidente radiograficamente una calcificazione a livello del condilo femorale interno che comunque diverrà, con il tempo, asintomatica (morbo di Pellegrini-Stieda). Soprattutto in questi casi può essere utile, alla ripresa dello sport, che avviene di solito tra il trentesimo ed il sessantesimo giorno, l’uso di un taping protettivo o di una ginocchiera articolata.

Le lesioni di terzo grado, che provocano una lassità articolare, il trattamento può essere sia conservativo che chirurgico. Le ottime possibilità di cicatrizzazione e di successiva ritensione spontanea, di tutte le strutture capsulo-legamentose del compartimento interno, rendono, generalmente, superfluo ricorrere alla sutura chirurgica. Naturalmente l’articolazione dovrà essere protetta da possibili sollecitazioni traumatiche in valgismo, che possono disturbare il processo di guarigione della lesione provocando una cicatrizzazione in allungamento, responsabile di una residua lassità in valgismo, che può perdurare per lungo tempo, ritardando anche di molto la ripresa dell’attività sportiva. La conferma delle ottime probabilità di guarigione del compartimento interno del ginocchio, viene anche dal fatto che le lassità mediali isolate vengono quasi sempre osservate in fase acuta, mentre disturbi cronici legati a questo genere di lassità, con persistenza solo di un test in abduzione positivo, sono di osservazione rara, anche negli sportivi.

Nelle lesioni acute isolate di terzo grado del compartimento interno viene applicato un tutore articolato, inizialmente bloccato a 30 gradi di flessione (posizione di detensione legamentosa) per circa due settimane; durante questo periodo il paziente è invitato ad eseguire esercizi isometrici del m. quadricipite e di sollevamento dell’arto con il tutore. Successivamente viene consentito un movimento articolare oltre i 30 gradi di flessione, fino a 90 gradi. Il paziente può quindi eseguire esercizi isotonici di flesso-estensione, per gradi crescenti di articolarità, più volte durante la giornata. Il movimento attivo precoce (o passivo con mobilizzazione passiva continua = CPM) favorisce, infatti, il corretto orientamento delle fibre collagene e, quindi, migliora la resistenza del tessuto neoformato. Dopo 2 settimane viene concesso anche il progressivo recupero dell’estensione. Al raggiungimento dell’estensione, dopo circa 4 settimane, viene autorizzato il carico progressivo, con l’aiuto di bastoni canadesi. A questo punto il paziente può iniziare gli esercizi isotonici contro resistenza (con pesi alla caviglia), il nuoto in piscina (evitando lo stile “rana”), la bicicletta. Acquisita la necessaria confidenza con l’appoggio del piede al suolo, il paziente abbandonerà i bastoni e manterrà il tutore, completamente sbloccato, solo per la deambulazione per un’altra settimana circa.

La deambulazione libera è, generalmente, raggiunta dopo circa 6 settimane; contemporaneamente il paziente potrà eseguire esercizi di potenziamento muscolare con macchinari specifici (leg extension, leg press, isocinetica). Una volta ripristinato il tonotrofismo muscolare della coscia, l’atleta potrà iniziare il reinserimento dell’attività sportiva, iniziando con la corsa rettilinea, i saltelli sul posto, passando poi ai cambi di direzione e via via alle altre situazioni tipiche della disciplina sportiva praticata. Per quello che riguarda, infine, gli esiti dolorosi, frequentemente localizzati all’inserzione femorale del legamento collaterale interno, che possono perdurare anche per molte settimane, potrà essere utile ricorrere all’applicazione di sostanze antinfiammatorie, mediante la ionoforesi, o ad ultrasuoni.

Le lassità antero-mediali (lesione del legamento crociato anteriore e del compartimento mediale), generalmente vengono osservate in fase acuta, per la gravità dei sintomi soggettivi e per l’evidenza del quadro obiettivo, caratterizzato da un test di abduzione positivo grave, e da un Lachman test intensamente positivo. Il trattamento di questo tipo di lesioni è categoricamente chirurgico. Attualmente esistono varie opinioni circa il tipo di intervento da praticare in questi casi. Alcuni autori suggeriscono la riparazione, la più precoce possibile, delle strutture del compartimento interno lesionate, associate alla ricostruzione del legamento crociato anteriore; altri autori, invece, consigliano la ricostruzione del solo LCA, comunque da effettuarsi il più precocemente possibile; altri ancora sono del parere di attendere la prima fase della cicatrizzazione delle strutture periferiche e la risoluzione della fase acuta (detumefazione articolare, riduzione del dolore, ripresa di un certo grado dell’articolarità), per poi procedere alla ricostruzione del solo LCA.

Print Friendly, PDF & Email